Disposti a lavorare nelle case di comunità anche oltre i 20 milioni di ore già messe a disposizione, ma mai come dipendenti. Decisi a stabilire confini certi con gli infermieri. Sempre al fianco dei sindacati quando si tratta di portare avanti la comune difesa del Servizio sanitario nazionale. Appena confermato alla guida dei 480mila camici bianchi iscritti alla Federazione dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) con un plebiscito dell’80% di preferenze da tutta Italia, Filippo Anelli (classe 1957) detta le priorità della sua presidenza da qui al 2028.

“Permaloso” è il ministro Schillaci che l’ha invitata a non sconfinare nel sindacale? Al ministro, un medico che comunque combatte per il Ssn in una congiuntura difficile, dico che i confini tra professione e sindacato spesso coincidono. Il manifesto del 25 gennaio riporta gran parte dei temi cari alla Fnomceo come l’atto medico e il nostro ruolo nella società, la difesa e l’attrattività del Ssn, la sicurezza e il no alla violenza. Poi è chiaro che non sono io a dichiarare lo sciopero né firmo i contratti, ma la dignità della professione vogliamo difenderla
Quale sarà la priorità del suo secondo mandato? La definizione con legge dell’atto medico, cioè di competenze e responsabilità dei camici bianchi, così da consentire loro di lavorare più sereni e alle altre professioni di crescere in autonomia. Cosa deve restare in capo al medico? Diagnosi e terapia al medico mentre su tutto il resto si può e anzi si deve collaborare, soprattutto sul territorio dove i camici bianchi sono troppo spesso soli Se fosse il ministro della Salute, quale priorità si darebbe? Di aumentare, con risorse vincolate, il numero di professionisti Ssn. Nel 2030 torneremo alla pletora medica ma il Ssn non è attrattivo: l’impegno del governo sui rinnovi contrattuali non è ancora sufficiente. Gli stipendi sono lontani dalla media Ue e non bastano aumenti di 100150 euro per evitare che i giovani vadano all’estero. Ultimo problema: come portare i medici nelle case di comunità? Questo tema è stato risolto dal contratto di lavoro della medicina generale e dei pediatri, firmato ad aprile scorso, che ci consente di prestare nelle Case ore extra ambulatorio. Abbiamo messo a disposizione 20 milioni di ore e possiamo fare anche di meglio, se si vuole, riducendo il rapporto ottimale con gli assistiti. Ma servono le strutture mentre oggi il 70% delle case di comunità manca all’appello. Io stesso, da medico di medicina generale, non saprei dove prestare le sei ore che mi sono assegnate al di fuori dello studio. Al ministro Schillaci consiglierei di verificare con le Regioni perché questa parte del contratto, che ci dà circa mille euro lordi in più al mese, non sia attuata. Le ore ci sono, i medici sono pronti. Senza contare che questa è una grande opportunità anche all’inizio della carriera: oggi un medico a cui viene assegnata una zona carente dovrebbe avere 38 ore retribuite, una conquista sindacale straordinaria perché non si tratta più, come avveniva prima, di dover cominciare la carriera da zero. E se domani la proposta sulla dipendenza prendesse corpo? La prenderemmo male: la dipendenza ci porterebbe a lavorare solo nelle case di comunità mentre oggi abbiamo trovato un bilanciamento con la possibilità di mantenere gli studi vicino ai cittadini. Perché privarli dell’ambulatorio sotto casa? Perché obbligare un anziano a spostarsi in una casa di comunità a 30 chilometri di distanza? Porre il tema dell’assetto giuridico del nostro rapporto di lavoro e non già della completa applicazione del contratto evoca una cortina fumogena mirata a nascondere problemi ben più reali. Come l’effettiva erogazione di servizi sanitari più numerosi ed efficienti alla popolazione.

Fonte Il Sole 24 Ore

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